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dopo l’abbandono dell’anima ovvero resistendo al colore, 2009
legno, lastra tipografica riciclata, colla vinilica, colore acrilico / recycled wood, recycled
typographic plate, glue, acrylic color
12,8 x 22,3 23,8 cm |
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particolare da / detail from dopo l’abbandono dell’anima ovvero resistendo al colore |
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work in progress ovvero la mia vita non conosce ordine, 2009
cartone, plastica, colla vinilica, carta stampata, colore acrilico / cardboard, plastic, glue,
ink-jet print on paper, acrylic color
30x37x35 cm |
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whitish mire ovvero qualche volta mi sento travolgere dalla merda, 2009
terracotta smaltata, poliuretano, colla vinilica, colore acrilico, legno, plexiglass / glazed
earthenware, polyurethane, glue, acrylic color, wood, plexiglass
40x35x37,6 cm |
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god bless the toys ovvero dove finiscono i soldi domenicali, 2009
terracotta smaltata, forme di legno policromatiche a indirizzo ludico / glazed
earthenware, polychromatic wooden forms for children
27x23,5x24 cm |
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pre-party, 2009
acrilico e inchiostro su carta / acrylic and ink on paper
10x15 cm |
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fuc#, 2009
acrilico su carta / acrylic on paper
10x15 cm |
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Osservatorio #2
[VOL.2]
Loggiato della Basilica
Palladiana/Vicenza
«L’architettura non mi rappresenta in quanto più grande di me; non mi aiuta perché pezzi di tetto spesso mi cadono addosso insieme all’intonaco; l'architettura non mi rappresenta perché non ho una casa, o meglio un luogo in cui la mia anima sia abitata da meno paure».
Partendo da una forma molto semplice – una casa con sei piccole finestre ma sprovvista di porta – l’artista sviluppa un lavoro che indaga il rapporto tra uomo e architettura. Una serie di piccole sculture che ricorrono a materiali di vario genere – terracotta smaltata, multistrato, poliuretano, acciaio, alluminio, lastre tipografiche, spot luminosi – ricrea abitazioni ipotetiche ma non così improbabili che indagano il concetto di antropometria. Poiché l’architettura dovrebbe essere una “realizzazione di sé”, capace di consolarci e di ridurre le nostre angosce, l’artista destabilizza il senso di appartenenza e di sicurezza che la casa dovrebbe infondere in ciascuno di noi. Lo spazio dell’abitare viene quindi traslato in una ludica cattedrale (che malamente cela la reale entità della propria “anima”) o in una fabbrica dismessa (che da luogo di lavoro diventa covo di feste illegali), passando per edifici invasi da materiale plastico o dai resti di un intimo post‐catastrofe.
In questo lavoro niente è mai come appare; dietro a un linguaggio essenziale e ironico si nasconde una dolente analisi del quotidiano, della società e della condizione umana.
Nero
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